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Architettura: una questione ermeneutica

By gianniSenza categoria30 ottobre 201830 ottobre 2018 No comments yet

Aristotele in uno dei trattati che costituiscono l’Organon, il Peri hermenènèias chiarisce cosa intende per hermenènèia: ” la lingua è “interprete” dei pensieri in quanto li esprime all’esterno”1. A partire da questa considerazione potremmo intendere le antropizzazioni come il linguaggio che “interpreta” le esigenze umane di modificare la natura, altrimenti detto in termini linguistici il significante2 quando questo è messo in relazione al significato.
 Le antropizzazioni, se così intese, oltre ad essere l’espressione di ciò che protegge l’essere umano da alcune delle avversità della natura, in taluni casi rappresentano anche aspetti propri della sua interiorità. Basti pensare al modo, spesso ritenuto Architettura, con cui sono e vengono realizzati templi, chiese, biblioteche, ecc., da cui è desumibile l’importanza dell’aspetto “estetico” 3 delle forme ed i materiali che le determinano.
In questi ed altri casi non è possibile ricondurre le antropizzazioni alla sola soddisfazione dei bisogni primari, piuttosto anche ad un altro tipo di “bisogni” questa volta di carattere sociale e quindi culturale. Questi ultimi non trovano il loro compimento nel fronteggiare esclusivamente la natura, (come fa il tetto per la pioggia o un muro per il vento), ma raggiungono il loro compimento quando sono determinati da forme che soddisfano le esigenze di carattere estetico relativo al tessuto sociale e culturale nel quale vengono ad essere inserite. In molti casi è proprio l’aspetto della forma a determinare il valore fondamentale di talune antropizzazioni. Tutto ciò rimanda al piano comunicativo che si instaura tra mittente (coloro che a vario titolo concorrono alla realizzazione di uno specifico “fatto antropizzante”: chiesa, tempio, biblioteca, ecc.) e destinatario, l’essere umano nell’ambiente in cui vive.
_________________________________________________________
1. Aristotele, Parti degli annali, 660 35; e L’anima, 420b 19
2. Ferdinand de Saussure, Corso di linguistica generale, Bari, Biblioteca Universale Laterza; § I, segno , significato, significante,2009
3. Estetico nella doppia accezione che comprende sia gli aspetti «quantitativi» riferibili al modo di rappresentare numericamente le antropizzazioni, sia «qualitativi» connessi al modo soggettivo di giudicare le forme dell’artefatto considerato.

In tal senso la relazione mittente-destinatario è inevitabile, in quanto coloro che realizzano un edificio, ad esempio, lo fanno « comunicando» attraverso la forma il loro intento, qualunque esso sia e, anche qualora non ci riescano, immettono comunque nell’ambiente un artefatto che comunica, una volta percepito sensorialmente, necessariamente qualcosa .
Va qui sottolineata l’importanza del fatto che non essendo possibile vivere al di fuori dello spazio, quando questo comprende delle antropizzazioni, esse vengono inevitabilmente interpretate in base alle loro forme. 
 Allo stato delle cose si può notare che nessuno degli interventi umani atti a modificare fisicamente la natura può prescindere dalla forma con cui viene ad essere realizzato e, pertanto, anche nei casi in cui si volesse fare fronte in maniera esclusiva alla soddisfazione di un bisogno primario come la sopravvivenza, si dovranno operare anche scelte formali tra i vari modi possibili di ottenere la soddisfazione di quel bisogno. Ciò implica che nel realizzare una qualsiasi antropizzazione vada valutato, oltre all’aspetto prestazionale, anche l’incidenza del carattere estetico delle scelte che si effettuano. Ad esempio considerando il riparo questo lo si ottiene tramite una forma che non è mai esclusivamente “funzionale” in quanto i modi per ottenerla possono essere molteplici (villetta, edificio, igloo ecc.) dando luogo a forme diverse.
E’ bene ricordare che anche quando si ritiene di compiere valutazioni esclusivamente funzionali queste, di fatto, sono anche estetiche e ciò avviene indipendentemente dall’esserne consapevoli.
Va considerato anche un terzo aspetto oltre a quello funzionale ed estetico, anch’esso importantissimo, relativo alla spontanea tendenza umana alla trascendenza quando questa trae spunto dai puri dati registrati sensorialmente. Tale tendenza talvolta si manifesta a seguito di uno stimolo esterno provocato da uno o più oggetti concreti evocanti aspetti che possono essere anche riferiti al sovrasensibile. In relazione a questo ultimo basti ricordare il ruolo svolto dal simbolo nelle società inteso come elemento che a livello individuale o per convenzione sociale richiama ad altro da sé.
Il simbolo a sua volta non è altro che un segno e come tale non ha un valore intrinseco, ma arbitrario. Non è il simbolo la causa della trascendenza, ma l’ umana tendenza che, in alcuni casi, necessita delle discretezze materiali per poi trascenderle, siano esse naturali o artefatti. Questa ultima distinzione è molto importante perché, come vedremo, le forme fisiche dell’una e delle altre sono fondamentalmente diverse, e danno luogo ad interpretazioni delle proprie discretezze altrettanto differenti.
Tra i motivi di questa diversità possiamo riconoscere che le forme della natura nella loro espressione spontanea in molti casi rimandano ad un senso di armonia. Ciò è dato proprio dalla relazione tra gli elementi «discreti» di cui si compone. A mio avviso la percezione di tale armonia genera una sorta di unità di cui l’essere umano in qualche modo si sente partecipe come una tra le tante entità naturali. Nel trovarsi immerso in un simile contesto formale ritengo che venga ad essere facilitato uno stato emotivo di dissolvimento al suo interno privo di mediazioni cognitive.
Al contrario l’ambiente antropizzato immette nel contesto naturale artefatti che vengono interpretati attraverso puntuali processi cognitivi. Ad esempio si pensa alle forme in cui sono composti, ai materiali, alle funzioni svolte, ecc.. Ciò potrebbe essere inteso come un condizionamento, una sorta di distrazione che impedisce la lettura unitaria dell’ambiente antropizzato inibendo quel senso di armonia prima richiamato. Poiché, solitamente, i fatti antropizzanti non vengono edificati con l’obbiettivo di costituire un’unità formale unitaria, ma per assolvere a funzioni. Ciò da luogo ad una giustapposizione di artefatti che prendono forma nello spazio a partire da motivazioni contingenti relative al contesto storico, con la particolarità che la maggior parte di questi hanno una lunga durata nel tempo e mantengono le stesse forme anche al mutare della situazione storica che le ha generate. Pertanto anche se ci si ponesse l’obbiettivo in un determinato momento di realizzare mediante costruzioni, un’armonia simile a quella naturale, occorrerebbe farlo in modo tale da garantirne costantemente la stessa qualità nel tempo.
Detto ciò, a mio parere, proprio per il carattere funzionale, estetico e trascendente degli ambienti fortemente antropizzati, essi dovrebbero, al pari di quelli naturali, ambire ad un’ unità armonica complessiva le cui forme tengano conto delle loro possibili interpretazioni future.
Per questi motivi va data molta l’importanza al doppio carattere “ermeneutico” della forma delle antropizzazioni. Esse infatti sono:

• significanti, in quanto rappresentano ciò che i mittenti (committente, progettista, esecutore ecc.), con il loro operato, vogliono trasmettere ai destinatari.

• Significati, perché costantemente interpretate da coloro che le percepiscono sensorialmente. 




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